martedì 22 febbraio 2011

Elisabetta Sala, Elisabetta la sanguinaria

Di tutta la grande famiglia dei "fratelli riformati", gli anglicani sono quelli che più si avvicinano ai cattolici. Ciò è dovuto al senso di moderazione degli inglesi, che hanno saputo trovare un compromesso tra gli estremi. L'equilibrio fu raggiunto da una sovrana, tollerante e di larghe vedute, che seppe contrastare il fanatismo religioso della sorella (Maria la sanguinaria) riuscendo a creare una fede nazionale. Elisabetta I fu la regina più amata della storia. Fu grazie a lei che l'Inghilterra si affermò come potenza mondiale; fu intorno a lei che i suoi sudditi si strinsero nel momento del pericolo.
Tutto ciò è romantico e commovente; peccato che, come questo libro dimostra, sia profondamente falso.
Il regime elisabettiano fu, di fatto, un sistema totalitario tra i più amari della storia.
Peccato che il mito di Elisabetta sia stato costruito da una minoranza al governo che fece carte false per conservare il potere.
Peccato che il popolo si sia visto perseguitato, impoverito, come mai prima di allora.
Peccato che la tanto decantata "vicinanza" degli anglicani al cattolicesimo sia nata da un duplice desiderio molto semplice e concreto: gettare fumo negli occhi dei sudditi e formare una gerarchia di agenti governativi travestiti da ecclesiastici.
Peccato che l'evoluzione-involuzione degli inglesi sia costata migliaia di vite, molte delle quali finirono immolate e squartate sul patibolo per alto tradimento.

Editore: Ares
Anno: 2010
Prezzo: 20,00
Pagine:

Inizio lettura: 9 febbraio 2011

martedì 11 gennaio 2011

Michael Crichton, Stato di paura

A Parigi un fisico viene assassinato dopo aver eseguito un esperimento per una bella visitatrice. Nella giungla della Malesia, un misterioso imprenditore fa costruire un impianto di cavitazione dalle caratteristiche molto particolari. A Vancouver una fantomatica società affitta un mini-sommergibile da utilizzare nelle acque della Nuova Guinea. E a Tokyo un agente segreto cerca di capire che cosa significa tutto questo. Così inizia Stato di paura, il romanzo più ambizioso di Michael Crichton. Dai ghiacciai islandesi ai vulcani dell'Antartide, dal deserto dell'Arizona alle giungle impenetrabili delle Isole Salomone, dalle strade di Parigi alle spiagge della California, in un incalzare di colpi di scena e di invenzioni che lasciano il lettore senza fiato, "Stato di paura" affronta temi controversi, dalla preoccupazione per l'effetto serra al ruolo dell'informazione nella società contemporanea, ma soprattutto s'interroga sulle cose in cui crediamo, e sul perché ci crediamo.

Editore: Garzanti
Anno: 2008
Prezzo: 10,90 €
Pagine: 686

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Crichton è un grande divulgatore di tematiche scientifiche, ma soprattutto ha cercato di divulgare attraverso i suoi romanzi "tematici" delle verità che andassero oltre le pseudo-verità della scienza divulgata. In effetti, tutti i suoi romanzi sono costruiti come dei veri e propri dossier, nel senso che - sempre, a monte del romanzo di turno - vi è stato un accurato lavoro di ricerca "critica" delle fonti bibliografiche che Crichton puntualmente inserisce in appendice in ogni suo romanzo, in modo tale che ogni lettore curioso possa - se lo vuole - consultare le sue stesse fonti. In "Stato di paura", dopo il romanzo sul rischio di utilizzo delle "nanoparticelle", lo sforzo di Crichton raggiunge uno dei suoi culmini. La tematica che egli prende in considerazione è quella della "cosiddetta" emergenza climatologica, nel cui contesto egli - alla luce d'una precisa documentazione - attacca l'ipotesi del riscaldamento globale derivante dall'immissione di CO2 nell'atmosfera e, di conseguenza, demolisce in un sol colpo l'attendibilità del "Protocollo di Kyoto" e le più comuni e diffuse tesi ambientaliste. Ciò che egli più evidenzia, attraverso l'intrigo in cui sono immessi i suoi personaggi e con il continuo confronto tra verità e pseudo-scienza di cui essi diventano protagonisti è il pericolo - non nuovo - insito nel fitto intreccio di connivenze tra scienza e politica che ha dato nel passato lontano - e più recente -alcuni frutti tristi e mortiferi (basti pensare alle tesi scientifiche sull'eugenetica, nate negli Stati Uniti degli anni '30 e che ebbero insigni sostenitori tra gli scienzati del tempo, sino a tracimare nella Germania nazista e nei suoi suoi cupi esperimenti). Afferma Crichton che quando s'impongono simili intrecci e quando attorno ad essi cominciano a ruotare consenso e denaro il gioco è fatto e si organizzerà un edificio di menzogne (con l'ausilio dei mass-media) sempre più difficile da smontare. Il volume, corredato da alcune appendici e di una bibliografia ragionata è assolutamente da leggere.

Recensione di maurizio crispi maurizio.crispi@gmail.com (29-06-2010) su www.ibs.com

Inizio lettura: 1 gennaio 2011

giovedì 1 luglio 2010

Jung Chang, Cigni selvatici. Tre figlie della Cina

La storia vera di "tre figlie della Cina" (l'autrice, sua madre, sua nonna) le cui vite e le cui sorti rispecchiano un secolo di storia cinese, un tempo di rivoluzioni, di tragedie e di speranze: dall'epoca dei "signori della guerra" all'occupazione giapponese e poi russa, dalla guerra civile tra i comunisti e il Kuomintang alla lunga Marcia di Mao e alla Rivoluzione Culturale. Allevata come una "Guardia rossa", Jung Chang raccoglierà infine l'eredità di dolore e di speranza di sua nonna e di sua madre, opponendosi al regime, che le deporterà i genitori in un campo di rieducazione e la esilierà ai piedi dell'Himalaya, fino all'insperata occasione di espatrio, nel 1978, verso l'Inghilterra.

Editore: TEA
Anno: 2010
Prezzo: 12,00 €
Pagine: 667


Postato il 1 luglio 2010

martedì 29 giugno 2010

Italo Calvino, Il visconte dimezzato

È la storia di un visconte che partecipa, assieme allo scudiero Curzio, a una guerra di religione alla fine del Seicento in Boemia. Il protagonista viene tagliato in due parti speculari da una palla di cannone.
Prende il via così la vita parallela delle due metà di Medardo. Inizialmente ritorna al paese solo il lato maligno, capace di terribili atrocità: provoca la morte del padre, tenta di uccidere il nipote, condanna a morte decine di uomini solo per aumentare il numero dei fuochi fatui al cimitero. Il Medardo “cattivo” però rivela anche inaspettate doti di umorismo e di realismo, quasi Calvino volesse giustificare in qualche modo i suoi comportamenti.
Successivamente fa ritorno al paese natio anche l’altra metà del visconte che si comporta in modo totalmente opposto: gentile, altruista, buono, o meglio “buonista”, caratteristiche che però vengono esasperate fino alla nausea.
I "due" protagonisti si innamorano della stessa donna, la pastorella Pamela e, dopo varie vicissitudini, giungono a un duello che finirà con una ferita contemporanea proprio nel punto della precedente "divisione". Il dottore riuscirà a ricongiungere le due metà e a ripristinare il quieto vivere.

Nel corso del romanzo è piacevole notare che quasi tutti i personaggi esprimono una certa ambiguità di fondo, sono incompleti, strani, ma sinceri: il codardo e inetto dottor Trelawney, genio del tressette, i lebbrosi di Pratofungo, poveri, moribondi, ma capaci di continui festeggiamenti che spesso sfociano in vere e proprie orge, mastro Pietrochiodo, uomo onesto e benevolo inventore però di crudeli strumenti di tortura e morte.

A Calvino, infatti, interessava primariamente «il problema dell’uomo contemporaneo (dell’intellettuale, per essere più precisi) dimezzato, cioè incompleto, “alienato”»; e proprio a tal fine, ha dimezzato il suo personaggio «secondo la linea di frattura tra “bene-male”», perché ciò gli «permetteva una maggiore evidenza di immagini contrapposte, e si legava ad una tradizione letteraria già classica (per es. Stevenson)». D’altra parte — sottolinea lo stesso scrittore — «i miei ammicchi moralistici… erano indirizzati non tanto al visconte quanto ai personaggi di cornice, che sono le vere esemplificazioni del mio assunto: i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanità), quegli ugonotti, visti un po’ con simpatia e un po’ con ironia (che sono un po’ una mia allegoria autobiografico-familiare, una specie di epopea genealogica della mia famiglia) e anche un’immagine di tutta la linea del moralismo idealista della borghesia».
E così, questo continuo parallelo tra comportamenti e caratteristiche contrapposte rafforza ancora di più il messaggio dell’autore che non condanna e, simultaneamente, non giustifica a priori nessun accadimento e nessuna azione. Rende volutamente confusi i confini tra bene e male, dimostra che in ogni azione sono le sfumature, le ragioni, i comportamenti a determinare il senso dell’azione stessa e che, non sempre, le regole predeterminate devono considerarsi assolute e definitive. Ci dice che nessuno è perfetto, antico detto, forse troppo poco considerato, che tutti hanno le proprie “miserie” e “squallori”, debolezze però non necessariamente correlate alle inclinazioni personali.

Altra caratteristica saliente dell’opera è la leggerezza che vi si respira, sia riguardo al linguaggio, semplice e scorrevole, sia relativamente al costante accento ironico che impedisce a Calvino di essere macabro di fronte alle crude nefandezze del Medardo maligno o lacrimevole e retorico raccontando della zuccherosa e lagnosa metà “buona”.

L’autore, aiutato dal contesto fantastico, stupisce anche per l’estrema attualità degli argomenti: durante la lettura, tra le fessure di humour e spirito, affiorano spontanei interrogativi morali, riflessioni e domande probabilmente vecchie come il mondo, ma egualmente importanti per ognuno nell’ambito del proprio microcosmo. Al tempo stesso, la sua simpatia e la sua fantasia non vengono mai meno, bensì si esprimono anche in piccole sottigliezze, quali la scelta di nomi come Pratofungo per il villaggio dei lebbrosi o Pietrochiodo per il mastro del paese.

D’altronde, per Calvino, come per Bertolt Brecht, è proprio il divertimento la prima funzione sociale di un’opera letteraria o teatrale. E, fermamente convinto che il divertimento sia una cosa seria, a uno studente che lo interroga sul suo libro, Calvino risponde così: «Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra».

D’altra parte, «è chiaro che — dice con la solita razionale ironia l’io-narrante de Il visconte dimezzato — non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo».

Editore: Mondadori
Anno: 1993
Prezzo: 8,50 €
Pagine: 100



Inizio lettura: 29 giugno 2010

lunedì 28 giugno 2010

Robert Hugh Benson, Il padrone del mondo

Robert Hugh Benson, con Il padrone del mondo (1907), ci porta in una realtà nella quale l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale, dove tutto è meccanizzato e programmato per un unico grande progetto: il trionfo dell’Umanitarismo. L’eliminazione della guerra, l’abolizione dei rumori, la legalizzazione dell’eutanasia, l’adozione di cibi artificiali, l’uso dell’esperanto sono solo alcune tra le caratteristiche che fanno da naturale corollario al nuovo tipo di convivenza civile.
In questo paesaggio si muovono, con estrema ponderatezza, i personaggi di Benson, ricchi di umanità e descritti in modo sapiente: Oliviero Brand, il politico, teorico del nuovo sistema che vede l’uomo unico dio e signore delle cose; Mabel, la deliziosa compagna di Oliviero, che sceglie la dolce morte offerta dalle case dell’eutanasia e che, nel momento estremo, quando l’ultimo soffio di vita fugge dal suo corpo provato dal lungo conflitto esistenziale, vede, capisce e prova, netta la sensazione del misterioso Altro. Giuliano Felsemburgh, l’uomo che costituisce la sintesi più sconcertante dei sentimenti e delle aspirazioni che l’Umanitarismo suscita, l’uomo che contende a Dio il dominio del mondo; Percy Franklin, un prete, combattuto internamente dall’intensa lotta in cui la fede vacilla per poi riconfermarsi più viva e vera.

Editore: Jaca Book
Anno: 2008
Prezzo: 15,00 €
Pagine: 334


Postato il 28 giugno 2010

Joseph Nicolosi. Identità di genere. Manuale di orientamento

Il volume intitolato Identità di genere. Manuale di orientamento presenta per la prima volta la tecnica terapeutica che il dottor Joseph Nicolosi applica con i suoi pazienti che soffrono a causa di una omosessualità indesiderata.
La prima cosa che emerge in modo evidente è che la "terapia riparativa" di Nicolosi non ha nulla di coercitivo né di impositivo, ma al contrario è basata su un ascolto aperto ed empatico. Non è nemmeno basata sul controllo dei pensieri omosessuali, anzi: di omosessualità non si parla mai, visto che è considerata semplicemente una conseguenza di un senso di inferiorità nei confronti del mondo maschile. Ed è proprio di questo che si occupa la cosiddetta "terapia riparativa": del senso di inferiorità dei pazienti. Ci si potrebbe chiedere: ma solo il modello di Nicolosi è in grado di aiutare chi ha una bassa autostima? Assolutamente no. Ed è proprio questa la particolarità di Nicolosi: considerare l'omosessualità indesiderata come se fosse un disturbo come un altro, che può capitare a tutti, niente di tragico, insomma: né totem, né tabù. Un paio di parole sul termine "riparativo" riferito alla terapia di Nicolosi: sicuramente, dal punto di vista del marketing, chiamare "riparativa" questa terapia non è stata una gran trovata. Gli omosessualisti ci si sono buttati a pesce, strillando: "Vedete? Nicolosi vuole riparare gli omosessuali!". Ciò che si guardano bene dal dire è che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicanalitico, utilizzato per l'omosessualità sin dagli anni cinquanta del secolo scorso. Già, perché in realtà è l'omosessualità ad avere una funzione "riparativa", non la terapia. Ma tutto diventa chiaro leggendo il libro.

 

PRESENTAZIONE

Roberto Marchesini e Giancarlo Ricci
Esposta nelle pagine di questo libro, eccola dunque, la famosa terapia riparativa di Joseph Nicolosi. Sin da una prima lettura del testo emergono con evidenza alcune caratteristiche che vale la pena di rimarcare.
Innanzitutto, la terapia riparativa non ha nulla di coercitivo. Del resto, qualunque professionista della salute mentale sa che non è possibile alcun trattamento psicologico coatto. Spesso si dimentica che prima di qualsiasi approccio terapeutico c’è una domanda, ossia una richiesta che sorge da un disagio, in definitiva un desiderio soggettivo di miglioramento, di trasformazione o di progettualità.
Il focus del lavoro clinico dell’autore non è puntato sull’attrazione omosessuale, ha come obiettivo primario il miglioramento dell’autostima, della capacità di relazione e dell’identità di genere del paziente attraverso un approfondito lavoro sulle difese, sulle emozioni e sui sentimenti. L’autore non presenta interventi direttivi o suggestivi, e non si troverà traccia nel libro di elementi morali o religiosi. L’atteggiamento del terapeuta è tutt’altro che giudicante e inquisitorio, e viene delineato chiaramente come accettante e attivamente connesso emotivamente con il paziente, in tutta la sua dignità.
Nicolosi da sempre ha onestamente dichiarato che la terapia ripartiva non è indicata per tutte le forme di omosessualità. In sintesi vi sono diverse forme di omosessualità:1 talune abbondantemente praticate e agite, come si usa dire, altre che hanno un carattere occasionale o sporadico, alcune in cui prevale l’aspetto immaginario e fantasmatico. Infine talune forme di disagio, spesso nei giovani e nei giovanissimi, si riassumono nel timore di "essere omosessuali". Non indifferente, in definitiva, è la valutazione dell’età evolutiva con l’avvicendarsi, per il soggetto, di tappe e identificazioni strutturanti che si consolidano mediante esiti particolari.
Accennare a questa complessità dove è in gioco il singolo individuo ci permette di evidenziare come il livello clinico, spesso complesso e delicato, non corrisponde affatto al piano sociologico dove quasi sempre (grazie all’ideologia gay) si parla di "omosessuali" come una classe coerente e univoca di individui che pratica un particolare orientamento sessuale. E che su questi rivendica diritti e riconoscimenti. Anche il termine onnicomprensivo di omofobia, spesso meccanicamente deterministico, pare essere diventato una sorta di parola magica che vorrebbe spiegare e giustificare l’atteggiamento omosessuale: dagli ambiti pubblici, come quelli sociali, politici e storici, a quelli più privati e intimi che si riferiscono all’ambito familiare, relazionale e intrapsichico.
Qualche parola intorno alla terapia riparativa. "Questo tipo di terapia — affermava Nicolosi in un suo predente lavoro — non si pone l’obiettivo di cancellare tutti gli impulsi omosessuali, bensì di migliorare la capacità di mettersi in relazione con gli altri uomini e di rafforzare il processo di identificazione maschile".2 Il cosiddetto "approccio riparativo" nella cura dell’omosessualità maschile è basato essenzialmente sulla teoria delle relazioni oggettuali, sull’analisi delle dinamiche e delle strutture familiari, sul recupero della relazione con la figura paterna. In altro suo testo Nicolosi notava che "ogni psicoterapia che tenti di sottoporre a trattamento l’omosessualità rischia di suscitare scetticismo". Tale scetticismo in effetti sembra crescere all’ombra di una confusione terminologica: la cura non coincide con la guarigione, e guarire non significa magicamente o per forza ripristinare l’eterosessualità.
I fondamenti teorici della terapia riparativa di Nicolosi partono dai lavori di Sigmund e Anna Freud, di Melanie Klein, Donald Winnicott, John Bowlby, David H. Malan e molti altri. Importa rilevare che il modello terapeutico cui fa riferimento Nicolosi non è specifico per il trattamento dell’orientamento sessuale egodistonico, ma è conosciuto universalmente come IS-DTP (Intensive Short-Term Dynamic Psychoterapy, terapia intensive dinamica breve), sviluppata negli anni ’60 del secolo scorso dal professore Habib Davanloo4 e ampliato da Patricia Coughlin Della Selva e Diana Fosha, 5 terapia che tuttora viene insegnata e praticata da psicologi e psicoterapeuti in ogni parte del mondo. Tra l’altro, recentemente, il dottor Nicolosi ha affiancato all’IS-DTP l’uso dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) nel trattamento di alcuni nodi traumatici particolari.
Nulla di bizzarro o esoterico, dunque; semplicemente l’applicazione di tecniche affermate e diffuse a pazienti con problemi di autostima causati da una identità di genere problematica o fragile.
Qualche parola sulla scelta di Nicolosi di chiamare "riparativo" il modello terapeutico proposto. C’è infatti chi, nel tentativo di screditare il clinico statunitense, induce a credere che il termine "riparativo" vada riferito all’omosessualità, o addirittura alla persona con tendenze omosessuali.
Eppure né in Nicolosi né in altri autori o scuole che si rifanno alla terapia riparativa troviamo mai la ridicola idea di "riparare gli omosessuali" o di costringerli a "ritornare eterosessuali".
Pur di screditare forse l’unico approccio terapeutico che vuole costituire un’alternativa alla modalità affermativa dell’omosessualità (GAT), si finge di ignorare che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicoanalitico che si riferisce alla teoria del meccanismo della riparazione, nozione che appartiene a pieno titolo al lessico e alla letteratura psicanalitica.
Il concetto di riparazione è fondamentale in psicologia clinica, particolarmente nella psicoanalisi: risale infatti a Melanie Klein, pur essendo presente in maniera implicita anche nei lavori di Anna Freud. Il concetto kleiniano di riparazione, che verrà poi ripreso e sviluppato da Donald Winnicott, consiste nella separazione degli "oggetti buoni" da quelli "cattivi" e nello sforzo di recuperare la bontà dei secondi "riparando" ai danni da essi inferti alla strutturazione dell’Io.
Se Nicolosi chiama la terapia da lui proposta "terapia riparativa" è per evidenziare, sulla scorta di Elizabeth Moberly, il significato "riparativo" dell’omosessualità. Semplificando, l’omosessualità sarebbe un tentativo, più o meno riuscito, di ristabilire una connessione con il mondo maschile da parte di una persona che se ne sente esclusa. Prima di lui sono parecchi e autorevoli i clinici che hanno accostato i meccanismi riparativi kleiniani all’omosessualità. Sandor Rado teorizza, infatti, un’"omosessualità ripartiva »; Mayerson e Lief parlano esplicitamente di "terapia di riparazione e terapia ricostruttiva (analisi)" riferendosi a pazienti con tendenze omosessuali.
Irving Bieber è ancora più esplicito quando afferma che "l’attrazione dell’omosessuale verso le qualità maschili può rappresentare, almeno in parte, un tentativo riparativo e di auto-protezione teso ad allacciare un rapporto con un maschio forte che sia capace di difenderlo contro il potere della madre — a differenza del padre che non lo faceva".
Non possiamo qui dilungarci oltre sulle basi teoriche e cliniche della terapia riparativa. Ciò che Nicolosi propone consiste, in buona sostanza, nell’ascolto empatico e nell’utilizzo di tecniche diffuse e consolidate con persone che vivono un orientamento sessuale indesiderato.
I suoi detrattori ricorrono spesso a banalizzazioni o evocano luoghi comuni.
Le battute beffarde di coloro che, per partito preso, discreditano la terapia riparativa dicendo che pretende di "riparare" gli omosessuali sono lontani da una dimensione teorica e clinica. Sono critiche che provengono dall’ideologia gay, e in particolare da quell’ideologia di genere che propugna, in nome di un adeguamento al modernismo, l’uguaglianza e quindi l’indifferenziazione tra i sessi, che fa coincidere il sesso con il genere, cancellando quel complesso percorso psichico che struttura le identificazioni e le idealizzazioni attraverso le quali un soggetto assume una propria identità sessuale.
Le implicazioni dell’ideologia di genere sono ampie, coinvolgono aspetti sociali, giuridici, istituzionali, etici, morali. Lo scientismo ha aperto le porte, soprattutto negli Stati Uniti, agli "studi sul genere". Ma pochi si sono accorti di quanto l’ideologia di genere sia un prodotto dello scientismo, risulti funzionale all’uso incondizionato delle biotecnologie, fino a sostenere tacitamente la fantasia onnipotente secondo cui "tutto è possibile".
Il mondo scientifico sembra aver dimenticato il suo compito fondamentale — descrivere
la realtà — ed aver assunto un compito prettamente ideologico: piegare la realtà ai propri desideri; tutto ciò che contrasta questi desideri viene censurato, stigmatizzato, vietato.12 La scienza tollera malamente le imposizioni ideologiche, la censura, i tabù; essa vive e si nutre di continua ricerca, approfondimento; anche — forse soprattutto — quando si tratta di mettere in dubbio assiomi della mentalità dominante.
L’origine di questo contesto poco rassicurante può essere facilmente rintracciata nell’ideologia del "politicamente corretto", definita causticamente da Robert Hughes "La cultura del piagnisteo";13 quella cultura, cioè, che riconosce come fondamento del diritto non la realtà, ma il desiderio, e considera una prevaricazione la mancata realizzazione del desiderio.
Quello che tuttavia è caratteristico del "politicamente corretto" è la tendenza a combattere i divieti con i divieti, le persecuzioni con le persecuzioni, le discriminazioni con le discriminazioni, fino ad instaurare la cosiddetta «dittatura del relativismo". La psicologia non sembra immune da questo pericolo. Due eminenti psichiatri, Rogers Wright e Nicholas Cummings (quest’ultimo, addirittura, presidente emerito dell’American Psychiatric Association), hanno dedicato a questo tema un approfondito saggio14 che documenta come, in merito a diversi argomenti, tra i quali l’omosessualità, la psichiatria abbia abbandonato la scienza per l’ideologia politicamente corretta, con l’ovvia conseguente perdita di credibilità.
Speriamo che questo libro aiuti a dissipare i tabù che circondano l’omosessualità e, cosa ben più importante, contribuisca ad alleviare le sofferenze di coloro che provano un’attrazione omosessuale indesiderata.

Editore: SugarCo
Anno: 2010
Prezzo: 25,00 €
Pagine: 448


Postato il 28 giugno 2010

Robert H. Benson, L'alba di tutto

Siamo nel 1911. Benson, che col suo Il Padrone del mondo aveva inorridito i lettori con la profezia di un mondo completamente scristianizzato (oggi rivelatasi per molti aspetti spaventosamente reale), si diverte ora ad immaginare lo scenario opposto: che succede se vincono i nostri? L'avvento del Regno di Dio sulla Terra si va a delineare sullo sfondo di un'Europa futuribile e sorprendente, che l'autore dipinge con geniali intuizioni tecnologiche (i collegamenti satellitari, il pc, la guerra aerea) e profetiche (le due Guerre Mondiali, il pericolo del Nazionalismo tedesco, l'esperimento del Socialismo Reale e il suo fallimento...). Attraverso gli occhi sconcertati del protagonista, in tutto e per tutto un uomo dei nostri tempi, il lettore imparerà ad orientarsi in un mondo nuovo, dove Fede e Scienza non sono in contrasto, il concetto di democrazia è superato, e il latino è parlato comunemente in ogni nazione.
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Per gentile concessione della traduttrice, riproduciamo qui sotto un breve estratto del libro.


“Ricorderete che prima della Riforma, e per molto tempo dopo nei Paesi cattolici, non c’era stato sociale, perché gli Istituti Religiosi si prendevano cura di malati e bisognosi. Ebbene, quando gli Istituti Religiosi vennero distrutti in Inghilterra, lo Stato dovette fare il loro lavoro. Non poterono semplicemente far fuori i mendicanti, come cercò di fare Elisabetta. Poi avvenne l’inevitabile, e cominciò ad essere un segno di disgrazia essere aiutati dallo Stato in un ospizio: la gente spesso preferiva morir di fame. Successivamente, all’inizio del ventesimo secolo, un pio tentativo fu fatto, con le Pensioni d’Anzianità e il George's State Insurance Act, per porre rimedio a questo e per aiutare i poveri in un modo che non offendesse la loro dignità. Naturalmente anche questi fallirono. E’ incredibile che gli statisti non capissero che doveva andare così. Anche le pensioni d’anzianità, e l’Assicurazione di Stato (quando fu socialmente smaltita), cominciarono ad essere considerati segni di disgrazia – per la semplice ragione che non è il ricevere il danaro che offende, ma il motivo per cui il denaro viene dato e la posizione del donatore. Lo Stato può solo dare per ragioni economiche, per quanto coscienziosi e individualmente caritatevoli siano i governanti; mentre la Chiesa dà per Amor di Dio, e l’Amore di Dio non ha mai distrutto l’autostima di nessuno. Bene, conoscete la fine. La Chiesa si fece avanti e, a certe condizioni, si offrì per sollevare lo Stato dall’intero carico. Ne seguirono due risultati – primo, svanirono tutte le lamentele; e secondo, l’intera popolazione povera d’Inghilterra nell’arco di dieci anni fu di simpatie cattoliche. E tutto questo è solo un ritorno ai tempi del Medio Evo – un ritorno reso assolutamente necessario dal fallimento di ogni tentativo di sostituire metodi umani a quelli Divini.

“Ora date uno sguardo a questo in tutto un altro modo – intendo la situazione generale.

“Il Socialista vide chiaramente i diritti della Società; l’Anarchico vide i diritti dell’Individuo. Come dunque sarebbero stati riconciliati questi? La Chiesa s’inserì in quel punto cruciale e rispose, Attraverso la Famiglia – domestica o religiosa. Perché nella Famiglia trovate riconosciute entrambe le aspirazioni: c’è autorità ma anche libertà. Perché l’unione della Famiglia sta nell’Amore; e L’Amore è l’unica riconciliazione tra autorità e libertà.

“Ora, così come l’ho presentato – come ora lo vediamo tutti – l’argomento è quanto di più semplice. Ma ci volle molto tempo perché venisse riconosciuto; e ci vollero gli atroci eventi dei primi vent’anni del secolo, e il discreditarsi dell’assurdo tentativo socialista di predicare la Legge dell’Amore con metodi di Forza, perché la civiltà tutta vedesse qual era il punto. Ma tutto ciò stava cominciando a plasmare l’opinione popolare già nel 1910.

“Svoltate ora su un piano completamente differente. Volgetevi all’Arte. Anche questa riportò gli uomini alla Chiesa.”

(L’atteggiamento di Mr. Manners si stava facendo ora meno professionale e più vivido. Spostò rapidamente lo sguardo da una faccia all’altra con aria di netto trionfo; le sue lunghe mani sottili si agitavano in un gesto lieve di tanto in tanto.)

“L’Arte, voi ricordate, alla fine dell’epoca Vittoriana aveva cercato di divenire realistica – aveva cercato, cioè, l’assurdamente impossibile; e la fotografia smascherò l’assurdità, Perché nessuno può essere veramente realistico, dato che è letteralmente impossibile dipingere o descrivere tutto quel che l’occhio vede. Quando la fotografia si diffuse, questo cominciò ad essere compreso; dato che ben presto si vide che l’unico fotografo in grado di avanzare una pretesa di lavoro artistico era l’uomo che selezionava e alterava e metteva in posa – in altre parole, sistemava il suo soggetto, in forma più o meno simbolica. Poi la gente cominciò a vedere di nuovo che il Simbolismo era lo spirito sottostante all’Arte – cosa che sapevano perfettamente, è ovvio, nei tempi medievali: che l’Arte consisteva nell’andare sotto alle superfici materiali che riflettevano la luce, o agli eventi materiali che capitavano, rispettivamente nella pittura e nella letteratura, e, attraverso un processo di selezione, nell’interpretare simbolicamente (non rappresentare fotograficamente) le Idee sotto le Cose – la Sostanza sotto gli Accidenti – il Pensiero sotto l’Espressione – (chiamatelo come volete). Zola in letteratura, Strauss nella musica, la scuola francese in pittura – questi ridussero il Realismo ad absurdum. Conseguentemente, ancora una volta si scoprì che la Chiesa Cattolica, in questo come in ogni altra cosa, aveva posseduto il segreto tutto il tempo. La Reazione Simbolica allora cominciò, e tutta la nostra musica, tutta la nostra pittura, e tutta la nostra letteratura oggi sono onestamente e dichiaratamente Simboliche – cioè, Cattoliche. E anche questo, vedete, insegnava la stessa lezione della Psicologia, che sotto ai fenomeni c’era una Forza che trascendeva i fenomeni; e che la Chiesa aveva trattato con questa Forza, sapendoLa personale, per tutta la sua storia.

"Ci furono, naturalmente, innumerevoli altre linee di avanzata, praticamente in ogni scienza, e tutte puntarono nella stessa direzione, e trovarono, per così dire, da tutti gli angoli la fine del tunnel che la Chiesa aveva scavato attraverso tutte le stupidaggini e ignoranze ammonticchiate dagli uomini. La psicologia scavò, e ben presto udì le voci degli esorcisti e gli echi di Lourdes nel buio. Le religioni umane scavarono - l'Induismo con la sua idea di una Divina Incarnazione, il Buddismo con la sua grossolana comprensione dell'Eterna Pace di una Visione Beatifica, la Religione dei Nativi Americani con le sue congetture sul Sacramentalismo, la Religione Primitiva con la sua caricatura di un Sacrificio di Sangue; tutte da punti diversi; e subito udirono attraverso il frastuono il dogma storico dell'Incarnazione di Cristo, il dogma della Vita Eterna, il Sistema Sacramentale e il Sacrificio della Croce - tutti proclamati in un Credo coerente e perfettamente filosofico. Gli ideali di Riforma Sociale affrontarono le stesse esperienze. Il Socialista col suo sogno di una Società Divina, l'Anarchico col suo appassionato incubo di una completa libertà individuale, entrambi s’imbatterono insieme, nel fondo della più buia oscurità, nella grande sagoma di una Famiglia Divina che era un fatto e non una remota ambizione - una Famiglia che nell'Eden cadde, e divenne uno Stato competitivo; una Sacra Famiglia che redense Nazareth e il mondo intero; una Famiglia Cattolica in cui non c'era giudeo né greco, né padroni contro uomini - in cui la dottrina della Vocazione assicurò i diritti e le dignità della Società da una parte e l'Individuo dall'altra. Infine l'Arte, vagando avanti e indietro per i dedali del Realismo, vide la luce avanti a sé, e trovò nell'Arte Cattolica e nel Simbolismo il segreto della sua vita.

"Questo, dunque, fu il risultato - si riconobbe che la Chiesa era stata eternamente nel giusto in ogni campo. Campo dopo campo era stata condannata. Pilato - la Legge delle Nazioni Separate - l'aveva trovata colpevole di sedizione; Erode - mercante di miracoli un momento, e scettico il momento dopo - lo Scienziato, nei fatti - l'aveva dichiarata colpevole di frode; Caifa l'aveva condannata nel nome della Religione Nazionale. O, ancora, era stata ritenuta il nemico dell'Arte da quelli di spirito Greco; nemica della Legge dai Latini; nemica della Religione dai Farisei ebraici. Aveva portato il suo titolo scritto in greco, latino ed ebraico. Era stata crocefissa, e derisa mentre era lì appesa; era sembrato che morisse; e, toh!, all'alba del Terzo Giorno era nuovamente viva per sempre. Ella era stata giustificata e vendicata sotto ogni singolo punto. Gli uomini avevano pensato di inventare una nuova religione, una nuova arte, un nuovo ordine sociale, una nuova filosofia; avevano scavato ed esplorato e perforato in ogni direzione; e, alla fine, quando avevano elaborato le loro teorie e trovato, come pensavano, la ricompensa alle loro fatiche, si trovarono ancora una volta a guardare il volto sereno e sorridente del Cattolicesimo. Ella era risorta dai morti ancora una volta, e si era visto che era Figlia di Dio, dotata di Potere.”

Editore: Fede & Cultura
Anno: 2010
Prezzo: 16,00 €
Pagine:

Postato il 28 giugno 2010

giovedì 24 giugno 2010

M. Tobino, Biondo era e bello

Biondo era e bello racconta la vita di Dante Alighieri: una biografia ispirata da devozione poetica e intima familiarità. L'arte di Mario Tobino, infatti, affonda le proprie radici in quella stessa Toscana rissosa e gentile, vivace e virulenta le cui linfe nutrirono la poesia dantesca. È la storia di una "vita sacra", come la definì l'autore stesso, per la sacralità dei versi scaturiti dal destino di quell'esistenza, ma non solo. La vita di Dante appare infatti "sacra" a Tobino per la compattezza e la pienezza umane di quelle esperienze che la Commedia era destinata a coronare: le dissipazioni amorose, i fervori di un battagliero sogno politico, i dolori e le amarezze dell'esilio. E intorno alla narrazione principale, come in un grandioso affresco, tutte le figure minime e massime che già Dante convocò davanti al tribunale del suo poema.

Editore: Mondadori
Anno: 1998
Prezzo: 9,00 €
Pagine: 148


Inizio lettura: 15 giugno 2010

mercoledì 9 giugno 2010

Steven Saylor, Lo schiavo di Roma

Nel 72 a.C. Roma è alle corde, ripetutamente sconfitta da un esercito che non proviene dalle barbare lande del Nord né dalle terre nemiche dell'Asia, bensì dalla stessa penisola. È l'esercito di Spartaco, che, coi suoi schiavi ribelli, sta mettendo a ferro e fuoco la Campania e il sud dell'Italia. E proprio a due schiavi in fuga da una villa nei pressi di Pozzuoli viene attribuito l'omicidio di Lucio Licinio, cugino del potente Marco Licinio Crasso. Il cadavere, sfigurato, è stato rinvenuto nell'atrium; accanto al corpo c'è soltanto un lembo di mantello intriso di sangue e sei lettere incise nel pavimento di marmo: SPARTA. Crasso, che sta per mettersi alla testa di otto legioni per soffocare la rivolta, decide di seguire un'antica, crudelissima usanza romana; di lì a tre giorni, punirà la morte del congiunto con la vita di tutti gli altri schiavi della casa: novantanove persone, novantanove innocenti. Solo Gordiano il Cercatore, chiamato da un misterioso cliente a far luce sull'omicidio, può fermare quell'insensata carneficina e scoprire la verità. Ma l'indagine si rivelerà più insidiosa del previsto e metterà in pericolo tutto ciò che Gordiano più ama, nonché la sua stessa vita.

Editore: TEA
Anno: 2009
Prezzo: € 8,90
Pagine: 369


Inizio lettura: 8 giugno 2010

giovedì 27 maggio 2010

A. Valladares, Contro ogni speranza

Lo dedico ad Andrea Colautti (è ancora in vita, non preoccupatevi ...) che, come altri, si ostina a mettere camicie del Che e ad esclamare Cuba libre, dimenticando tante morti atroci che "il Gatto e la Volpe" di Cuba hanno fatto ...
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La testimonianza di 22 anni nelle carceri politiche di Cuba, solo per aver espresso opinioni diverse dal regime di Fidel Castro. Questo testo ha contribuito ad avviare un'investigazione internazionale culminata nella pubblicazione di un rapporto ONU sulle violazioni dei diritti umani. Violenza, repressione, isolamento, sono pratiche quotidiane per i dissidenti; e chi rifiuta la "riabilitazione politica" alle peggiori privazioni. Partendo da un'esperienza personale, il volume descrive parte della spaventosa realtà penitenziaria dell'isola. Dice l'autore: "Quando questa storia sarà conosciuta nei particolari, l'umanità proverà lo stesso disgusto che ha provato di fronte ai crimini di Stalin".

Editore: Spirali (collana L'alingua)
Anno: 2007
Prezzo: € 25,00
Pagine: 400

Inizio lettura: 25 maggio 2010

martedì 18 maggio 2010

G. Leoni, La regola delle ombre

Decisamente coinvolgente. Forse un po' troppo contorto (molti i nomi da ricordare), ma nella sostanza affascinante. Vedere muoversi nella realtà per nulla chiara della Roma della fine del 1400 Pico della Mirandola, Gemisto Pletone, Sisto IV e un'infinità di altri personaggi famosi che hai studiato solo sui libri è certamente un pregio di Leoni.
Per chi è romano è veramente un piacere rivedere parti della sua città "trasformate all'indietro", cioè com'erano mezzo millennio fa.
I personaggi sono ben caratterizzati e approfonditi: forse Pico un po' troppo fissato con Lucrezio (anche se poi è la sua àncora di salvezza davanti ad eventi che potrebbero far pensare chiunque alla magia ...) e in alcuni casi sembra instancabile e irrefrenabile: corre da una parte all'altra della città, ogni tanto ammazza qualcuno per strada, spesso fa a botte contro uno o più malintenzionati, nuota nelle limacciose acque del Tevere, sfonda porte di conventi, spoglia i frati e li terrorizza, si sollazza con la misteriosa bellezza e poi riparte per ennesime avventure ... pant! pant! ho fatto fatica io a scrivere, chissà lui a farle!
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Un incendio illumina la sera invernale di Firenze, devastando la prima stamperia a caratteri mobili della città. Con la vita del tipografo, le fiamme cancellano anche l'opera promessa a Lorenzo de' Medici: un libro segreto e meraviglioso, impresso con il "carattere perfetto". Accorsi sul posto, il Magnifico e l'amico Pico della Mirandola si rendono conto che non si tratta di un incidente: il corpo del tipografo pende dalla macchina per la stampa, la testa imprigionata nel torchio. A complicare il quadro del delitto, l'apparizione nei paraggi di una donna misteriosa che sembra essere la bellissima Simonetta Vespucci, morta anni prima nel fiore dell'età. Chi mai potrebbe averla richiamata tra i vivi? Pico è scettico. Si chiede se l'opera distrutta non sia l'oscura Regola delle Ombre, come sembra credere Lorenzo de' Medici: l'antichissimo rituale che dischiude i cancelli del sepolcro. Un manoscritto passato per le mani di Leon Battista Alberti e scomparso dopo la sua morte. C'è un solo modo per scoprirlo: indagare a Roma sulle tracce lasciate dal grande architetto. Su incarico di Lorenzo, Pico parte per la città eterna deciso a servirsi del suo acume e della sua prodigiosa memoria per trovare una spiegazione razionale a delitti e apparizioni.
Editore Mondadori (collana Omnibus) 2009, 415 p., rilegato, € 19,00
Inizio lettura: 18 maggio 2010

domenica 9 maggio 2010

V. Salamov, Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti

Alcune mie vite raccoglie i documenti dei tre processi, completi di tutti gli interrogatori. A delineare la personalità di Salamov, oltre ai suoi racconti su quelle vicende i rapporti informativi stilati dalle spie reclutate dalla polizia politica tra il 1956 e il 1959. Varlam Salamov, finisce in carcere, a soli ventidue anni, per i suoi legami con alcuni attivisti dell'opposizione leninista-trockista e per la stampa e la diffusione del "Testamento di Lenin", la lettera del padre della Rivoluzione nella quale sono espresse alcune riserve su Stalin e deportato in un campo di prigionia del Gulag sugli Urali, divenendo una delle prime vittime delle purghe staliniane. Nel 1931 torna a Mosca, dove collabora ad alcune riviste, scrive, si sposa e ha una figlia, mentre la polizia lo considera, a sua insaputa, un evaso: pende infatti sulla sua testa una condanna a tre anni di confino, che però nessuno gli ha notificato. Arrestato per la seconda volta nel 1937, viene mandato in Siberia nei campi di lavoro della Kolyma. Nuovamente processato nel 1943, è condannato a dieci anni di lavori forzati più cinque anni di privazione dei diritti civili per propaganda antisovietica. Rilasciato dopo la morte di Stalin, vivrà per altri ventinove anni un'esistenza precaria, segnata da problemi di salute, nonché dalla separazione dalla moglie e il rinnegamento della figlia, e però completamente assorbita dal lavoro sui Racconti di Kolyma.
Inizio lettura: 9 maggio 2010

mercoledì 5 maggio 2010

C. M. Russo, La sposa normanna

1185. L'incantevole Palermo, crogiuolo di tante culture, splendente dei suoi palazzi, dei suoi preziosi mosaici, è pronta ad accogliere la sua nuova regina. Costretta a rinnegare i voti, Costanza d'Altavilla, l'ultima erede della dinastia normanna che guida il Regno di Sicilia, viene data in sposa a Enrico di Svevia, figlio dell'imperatore Federico. Un matrimonio dettato dalla ragion di Stato che dovrà essere coronato dal concepimento di un erede al trono. Ma mentre il figlio tanto sospirato tarda ad arrivare, la fragile e bella Costanza deve lottare contro nemici potentissimi, primo fra tutti Gualtieri di Palearia, ministro dell'imperatore, che soffia sul fuoco della gelosia di Enrico per distruggere la donna e conservare la sua enorme influenza. Quando finalmente il piccolo Federico vedrà la luce, la madre dovrà far di tutto per proteggerlo dalle innumerevoli insidie che lo minacciano. Fino a quando, divenuto ragazzino, non sarà in grado egli stesso di sbarazzarsi dei suoi implacabili nemici, rivelando doti che faranno di lui un grande imperatore.

Inizio lettura: 5 maggio 2010

venerdì 23 aprile 2010

H. Müller, Il paese delle prugne verdi

L'idea e la storia magari sarebbero anche belli, se solo si riuscisse a capire bene, visto che lo stile (che la terza di copertina definisce 'immaginifico') è praticamente incomprensibile.
Un vero peccato, perché si intuisce che c'è una storia forte alle spalle!
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Nella Romania degli anni Ottanta, quasi sospesa nel tempo, quattro giovani si ritrovano uniti dal suicidio di una ragazza di nome Lola. Da quel dolore e dalla consapevolezza di vivere in un Paese sottomesso alla dittatura, scaturisce un comune anelito di libertà che si nutre di letture e pensieri proibiti. Ben presto però i quattro devono fare i conti con l'onnipresenza del terrore. Agli interrogatori sistematici della polizia segreta, ai pedinamenti e agli atteggiamenti intimidatori segue la perdita del lavoro e, quand'anche si riesca a espatriare, ecco che le minacce proseguono e la morte ritorna sotto forma di misteriosi suicidi. In tutta questa oscurità, l'amicizia e l'amore sopravvivono. Grazie a uno stile evocativo e immaginifico, Herta Müller - che come la protagonista del romanzo appartiene a una minoranza di lingua tedesca della Romania - riesce a trovare e far scaturire la poesia persino dal degrado materiale e spirituale di un'intera nazione.
Inizio lettura: 20 aprile 2010

martedì 13 aprile 2010

F. Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh

In questo romanzo rivive la gloriosa e indomita resistenza opposta alle soverchianti forze turche, tra il luglio e il settembre 1915, da cinquemila armeni rifugiatisi sul massiccio del Mussa Dagh, a nord della baia di Antiochia. Vero poema in prosa esso è considerato la più matura creazione nel campo della narrativa dello scrittore austriaco.

Lettura: 2005